Un figlio di Mehdi M. Barsaoui
Un figlio di Mehdi M. Barsaoui
“Il Figlio” dell’esordiente regista tunisino Mehdi M. Barsaoui. Il lavoro è stato realizzato nel 2019 ma esce nelle sale italiane solamente adesso. Il film ha ricevuto varie nomination, vincendo al Festival di Venezia del 2019 il Premio Orizzonti per il miglior attore a Sami Bouajila,che viene premiato sempre come miglior attore ai Cesar del 2021 e ai Lumiere Awards del 2021. Barsaoui sceglie di raccontare una storia incastonata nelle contraddizioni della Tunisia, riflettendo sul concetto di
modernità e di tradizione. Il Figlio si apre su un incontro fra amici, dove le donne fumano e bevono e si raccontano barzellette. Il regista sviluppa il racconto come una dramma borghese, dove il protagonista non solo non ostacola la carriera della moglie, ma anzi la sostiene nel suo percorso. Fin da subito il regista ci mostra persone che sono a loro agio nel proprio mondo. Ma questa armonia viene interrotta dal grave ferimento del figlio. Questo incidente obbliga la coppia a ripensarsi e ad affrontare delle verità che erano state nascoste. Barsaoui, in alcuni momenti, sembra essere attratto dall’estetica cinematografica del maestro iraniano Asghar Farhadi (Una separazione) e utilizza con maestria le ellissi e lo schermo nero per separare gli snodi narrativi. Barsaoui data il suo film fra l’agosto e il settembre del 2011, che è un periodo importante nella recente storia della Tunisia. Dichiara infatti il regista: “Il 2011 è stato per la Tunisia l’anno della svolta, sia politicamente che socialmente. (…) Per me era importante ambientare la storia in quel preciso momento, perché mi avrebbe permesso di dare al racconto una connotazione storica e un contesto sociale ben definito. Fin dall’inizio, non era nelle mie intenzioni parlare della rivoluzione. Non ho né la preparazione né i mezzi per farlo. Non sono né uno storico né uno studioso di politica. Ciò che mi interessava era mostrare quali sarebbero state le ripercussioni della vita politica su una normale famiglia tunisina.
Questa è la ragione per la quale la mia storia prende piede pochi mesi dopo la caduta di Ben Ali e poche settimane prima della disfatta di Gheddafi, ucciso a ottobre. Molte cose stanno cambiando in diverse parti del mondo, volevo che i miei personaggi fossero collocati in questo preciso momento. Allo stesso tempo,volevo che questi fatti rimanessero sotto la superficie.” Il dramma dei genitori è il tema principale del film,ma sullo sfondo è presente la realtà tunisina, raccontata soprattutto attraverso i personaggi che arrivano al Pronto Soccorso dell’Ospedale, notoriamente un luogo dove è possibile vedere lo sfaccettato mondo degli esseri umani, che mostrano il loro vero volto, senza maschere. Il figlio affronta molte questioni irrisolte della società tunisina: il concetto di paternità, il concetto di modernità e della dialettica fra questa e la società tradizionale, il ruolo della donna, la crisi morale provocata dalla guerra in Libia e tante altre tematiche etiche.
Ma la capacità del regista, e in questo senso il suo modo di elaborare i contenuti del film sembrano somigliare a quelli del regista iraniano Farhadi, è quella di riuscire a rendere universali le questioni affrontate. Quindi, il film pur presentandosi come un dramma borghese è anche un lavoro politico che pone allo spettatore delle domande che lo obbligano a schierarsi. Barsaoui si è laureato presso l’Higher Institute of Multimedia Arts di Tunisi e si è specializzato in regia cinematografica al DAMS di Bologna. Forse gli studi avvenuti al DAMS hanno avvicinato il regista alle tecniche di ripresa caratteristiche del neorealismo, anche se Barsaoui sembra essere molto influenzato dalle idee di Lars von Trier e del suo movimento Dogma 95. Gli attori vengono ripresi da vicino, utilizzando la tecnica del close-up. Lo stesso regista descrivendo il suo film utilizza il termine “sobrietà”, ed effettivamente Il Figlio cerca di evitare il più possibile gli artifizi cinematografici: un modo di utilizzare la macchina che sia il più semplice possibile, senza retorica, senza carrellate e macchine montate su gru. Anche nelle riprese esterne si evita il più possibile l’estetizzazione, per concentrarsi sui personaggi. In questo senso il regista rinuncia al pathos, decidendo di mettersi al servizio della storia raccontata. Al regista non interessa far vedere i suoi virtuosismi, ma interessa cercare di avvicinarsi il più possibile alla realtà che intende descrivere. Un grande bagno di umiltà che va a merito di Barsaoui.Il film si conclude con un finale aperto, ma, a parere dello scrivente, foriero di cambiamenti positivi. Il dolore affrontato dalla coppia non può che portare i protagonisti ad un ulteriore passaggio di consapevolezza.Il Figlio è film da non perdere, anche se come tutte le opere prime, manifesta delle incertezze e alcuni passaggi risultano prevedibili. Ma Barsaoui mostra un profondo rispetto per la storia che racconta e per i personaggi che attraversano una Tunisia che cerca di cambiare.
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