I Miserabili
I Miserabili (Les Misérables) – di LadJ Ly – Francia 2019 – 103 minuti
Esordio folgorante di un regista figlio di maliani, originario della cittadina di Montfermeil, circa trenta chilometri da Parigi, dove Victor Hugo ambientò parte del suo romanzo “I Miserabili”, scritto nel 1862. A quanto pare, non è cambiato molto da allora, a parte l’arrivo degli strumenti tecnologici. Il regista comunque, da parte sua, ha fondato nel suo quartiere una scuola di cinema gratuita.
La trama è molto complessa e ci vorrebbe molto spazio per raccontarla. Qui viene estremamente sintetizzata ed è la seguente: Stéphane (Damien Bonnard), è un agente di polizia che si trasferisce dal comune francese di Cherourg a Montfermeil. Stéphane si integra facilmente nella comunità del piccolo centro e viene inserito nella squadra anti-crimine al fianco dei colleghi Chris (Alexis Manenti) e Gwada (Djibril Zonga), due poliziotti esperti e dai metodi non convenzionali.
Capisce fin da subito quanto la situazione tra le gang del quartiere sia tesa e fragile, una bomba ad orologeria pronta ad esplodere. La goccia che fa traboccare il vaso è il furto di un leoncino che viene rapito da un circo, a cui segue un incomprensibile violenza nei confronti di un bambino, mentre tutto viene ripreso da un drone a cui molti inizieranno a dare la caccia per cancellare le prove.
Stéphane si troverà costretto a sporcarsi le mani e gli occhi, invischiato in prima persona nelle miserie dei bassifondi, polveriera di violenza e criminalità, e comprenderà le difficoltà della polizia nel mantenere la pace e l’ordine seguendo il sentiero della legalità.
Il film in realtà è un’opera corale, questa cittadina è piena di personaggi che difendono ognuno le proprie piccole fette di potere. A complicare la situazione c’è la presenza pervasiva dei cellulari e dei droni che riprendono le violazioni della polizia. Ma il lavoro di questo regista è fortemente influenzato dall’opera di Hugo, tanto che il film si conclude con una sua citazione: “’Ricordatevi di questo, amici miei. Non ci sono cose come le piante cattive o uomini cattivi. Ci sono solo cattivi coltivatori.” L’altro riferimento, è ovviamente a “L’Odio” di Mathieu Kassovitz, vincitore del premio per la miglior regia al Festival di Cannes nel 1995. Anche in questo caso il regista era esordiente e con un bianco e nero straordinario e nervosi movimenti di macchina, raccontava la violenza delle banlieue. In tutti e due questi film, i protagonisti principali sono i giovani abitanti delle periferie, che non sembrano avere altra scelta che la violenza. Anche Ladj Ly vince il premio della Giuria al Festival di Cannes, mentre la Palma d’Oro fu vinta da Parasite.
I Miserabili ha vinto comunque moltissimi premi in giro per il mondo, soprattutto per la capacità che il regista ha mostrato nell’utilizzo del poliziesco per raccontare le contraddizioni di un paese. Quello che colpisce di questo film è la vitalità del montaggio, inizialmente molto tradizionale ma poi sempre più veloce e sincopato, con un uso della macchina che sembra essere talmente invisibile da dare la sensazione al pubblico di essere veramente presente sul luogo.
Qui di seguito i riconoscimentI:
2020 – Premi Oscar
Candidatura per il miglior film internazionale
2020 – Golden Globe
Candidatura per il miglior film straniero
2019 – Festival di Cannes
Premio della giuria
In competizione per la Palma d’oro
2019 – European Film Awards
Miglior rivelazione
Candidatura per il miglior film
Candidatura per la miglior sceneggiatura a Ladj Ly, Giordano Gederlini e Alexis Manenti
2019 – Satellite Award
Candidatura per il miglior film in lingua straniera
2020 – British Independent Film Awards
Candidatura per il miglior film indipendente internazionale
2020 – Critics’ Choice Awards
Candidatura per il miglior film straniero
2020 – Premio Goya
Miglior film europeo
2020 – Premio César
Miglior film
Migliore promessa maschile a Alexis Manenti
Miglior montaggio a Flora Volpelière
César del pubblico
Candidatura per il miglior regista a Ladj Ly
Candidatura per il miglior attore a Damien Bonnard
Candidatura per la migliore promessa maschile a Djebril Zonga
Candidatura per la migliore sceneggiatura originale a Ladj Ly
Candidatura per la migliore fotografia a Julien Poupard
Candidatura per la migliore musica a Marco Casanova e Kim Chapiron
Candidatura per il miglior sonoro a Arnaud Lavaleix, Jérôme Gonthier, Marco Casanova
Candidatura per la migliore opera prima
Nella parte finale di questa recensione uno spezzone di una intervista realizzata al regista:
Domanda: I MISERABILI è il suo lungometraggio di esordio nel cinema narrativo ed è prodotto con un impianto classico. È un primo risultato di tutte le esperienze che ha accumulato?
Risultato non lo so, visto che io spero che sia più un nuovo punto di partenza che un punto di arrivo. Ma è vero che in questo film racconto un po’ la mia vita, le mie esperienze, quelle delle persone che mi sono vicine… Tutti gli elementi della storia si basano su cose realmente vissute: i festeggiamenti per la vittoria della Coppa del mondo di calcio, ovviamente, l’arrivo del nuovo poliziotto nel quartiere, la storia del drone… Per cinque anni, ho filmato con la mia videocamera tutto quello che avveniva nel quartiere e soprattutto quello che facevano i poliziotti, non li perdevo d’occhio. Appena arrivavano, prendevo la videocamera e li filmavo, fino al giorno in cui ho immortalato un loro vero e proprio abuso. Anche la storia del furto del leoncino che scatena la collera dei gitani proprietari del circo che c’è nel film è reale… Ho voluto mostrare tutta l’incredibile diversità che costituisce la vita nei quartieri popolari.
Abito ancora lì, sono la mia vita e mi piace filmarli. Sono il mio set cinematografico!
Ha evitato il manicheismo. Non ha mostrato giovani buoni contro poliziotti cattivi, né viceversa. Il suo sguardo verso i protagonisti è privo di pregiudizi o di caratterizzazioni sommarie.
È ovvio, perché la realtà è sempre complessa. Ci sono buoni e cattivi da entrambe le parti…
Cerco di filmare ogni personaggio senza formulare alcun giudizio. «Il sindaco» ha un lato
educatore e allo stesso tempo è un po’ sordido, i poliziotti lo stesso, sono via via simpatici,
disgustosi, umani… Navighiamo in un mondo talmente complicato che è difficile esprimere
giudizi rapidi e definitivi. I quartieri sono delle polveriere. Ci sono i clan e, ciò nonostante,
cerchiamo di vivere tutti insieme e facciamo in modo di evitare che le situazioni sfuggano di
mano. È questo che mostro nel film, i piccoli aggiustamenti quotidiani che ciascuno compie
per restare a galla.
La storia si svolge in un contesto di disoccupazione e di povertà, che sono la causa primaria di tutti i problemi…
Quando si hanno i soldi, è facile vivere con gli altri, quando si vive in miseria, è più
complicato: bisogna ricorrere a compromessi, arrangiamenti, piccoli traffici… è una
questione di sopravvivenza. Anche i poliziotti sono in modalità di sopravvivenza, anche loro
vivono la miseria. I MISERABILI non è né «pro-delinquenti» né «pro-sbirri». Ho cercato di
essere più giusto possibile. La prima volta che mi hanno fatto un controllo, avevo 10 anni,
per dire quanto conosco bene la polizia: ci ho vissuto fianco a fianco, ho subito un numero
incalcolabile di fermi e di provocazioni. Mi sono reso conto che potevo permettermi di
calarmi nei panni di uno sbirro e di raccontare un pezzo di film dal loro punto di vista. La
maggior parte di questi poliziotti non ha fatto gli studi, vive anch’essa in condizioni difficili,
con stipendi da fame e negli stessi nostri quartieri. Stanno più spesso di noi nelle periferie
perché noi ci muoviamo, ci spostiamo in città, mentre loro lavorano tutto il giorno nel
quartiere, girando in tondo, rompendosi le palle. Per avere un po’ di azione, decidono di fare
dei controlli di identità ed è un circolo vizioso. Conoscono a memoria gli abitanti, la vita che
fanno, le loro abitudini, eppure li vessano tutti i giorni facendo i controlli. È inevitabile che
certi giorni scoppi la scintilla.
Possiamo dire che I MISERABILI sia un film umanista e politico nel senso che lei non giudica gli individui, ma denuncia implicitamente un sistema di cui tutti finiscono con l’essere ittime, residenti e poliziotti?
È esattamente questo e la responsabilità primaria ricade sui politici. Negli ultimi trenta o
quarant’anni hanno lasciato degenerare la situazione, ci hanno abbindolati con decine di
parole e piani – piano periferia, piano politico per la città, piano a destra e piano a sinistra -e il risultato è che non ho mai visto cambiare qualcosa da trent’anni a questa parte. L’unica
piccola eccezione è il piano Borloo: il rinnovamento dell’habitat è il solo risultato concreto
che ho visto. Ha migliorato la nostra vita quotidiana, dunque grazie a Jean-Louis Borloo. Ma,
a parte questo, non ho mai notato alcun progresso reale anzi, a dire il vero, si va di male in
peggio. E ciò nonostante abbiamo imparato a vivere insieme in quartieri dove coesistono
trenta nazionalità diverse. Io dico sempre che la società mista esiste solo nelle periferie,
invece nel centro di Parigi c’è l’esatto contrario. Ogni volta che attraverso la tangenziale
entro in un altro universo, prevalentemente bianco. La differenza è flagrante quando questi
due mondi sono affiancati. Quando un parigino si reca in periferia ha l’impressione di
avventurarsi in Africa o in Iraq, quando in realtà è a cinque minuti di metropolitana o
macchina! È un peccato perché i quartieri della banlieue sono in movimento, sono pieni di
vita, c’è un’energia incredibile. Non ci sono solo droga e violenza, che peraltro esistono
anche nel centro di Parigi… La vita nelle periferie è lontana anni luce dall’immagine che
offrono quasi tutti i media. C’è un baratro tra la realtà e l’immagine mediatica. Come
potrebbero i politici risolvere i nostri problemi quando non ci conoscono, non sanno come
viviamo né quali sono i nostri codici?
Un’altra realtà mostrata nel film che contrasta con i consueti stereotipi è la questione etnica: non ci sono giovani neri che si scontrano con poliziotti bianchi. Neri, bianchi e magrebini si mescolano da entrambe le parti…
Sì, perché questa è la realtà. C’è di tutto, persone che si frequentano tutte insieme, clan in
cui dominano i magrebini, i gitani sono presenti ma non si mescolano. Ci sono anche taciti
accordi in base ai quali non bisogna frequentare gli zingari. Anche tra i poliziotti c’è di tutto,
compresa gente di origine africana che noi soprannominiamo «guada»… Nei nostri codici i
«guada» sono quelli delle isole. I primi poliziotti neri venivano tutti dalle Antille e il nome è
rimasto, anche per coloro che oggi sono originari dell’Africa. Il «guada» del film
probabilmente è cresciuto in questo quartiere, ma è diventato poliziotto quindi è
considerato un traditore e questo complica ulteriormente la situazione. Anche i rapporti tra
Chris, il poliziotto bianco razzista, e Il Sindaco, il personaggio nero del quartiere, sono
complicati: si detestano, ma hanno anche stipulato dei piccoli accordi perché in fondo
ciascuno ha un po’ bisogno dell’altro… La polizia è costretta a fare qualche piccolo
compromesso a volte, altrimenti sarebbe la guerra permanente.
Anche la sua regia va contro alle aspettative, evitando il montaggio in stile videoclip, il cliché del rap/hip-hop… Era importante per lei lasciarsi ispirare dal racconto e dalle inquadrature?
Ci tenevo che i primi 40 minuti del film fossero un’immersione tranquilla nel quartiere.
Volevo innanzitutto accompagnare lo spettatore nel mio universo e solo in seguito entrare
nell’azione. Ma prima facciamo una passeggiata, seguiamo la cronaca, familiarizziamo con i
personaggi e il tessuto del quartiere… Ho eliminato gli stereotipi come la droga e le armi ed
effettivamente la musica è più elettronica che rap. Anche nel modo di parlare, ho voluto
evitare i luoghi comuni del film-banlieue.
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