I giganti
Con un po’ di ritardo ci si trova a recensire questo lavoro, che risulta essere il terzo lungometraggio del regista sardo Bonifacio Angius. Il suo primo lavoro, del 2010, risulta formalmente un cortometraggio, anche se dura 58 minuti.
A questo punto diviene necessario, prima di procedere con la recensione, aprire una piccola parentesi sul concetto di cortometraggio in Italia. A livello internazionale, il minutaggio massimo previsto per un cortometraggio è di 30 minuti, anche se esiste un festival del corto che accetta lavori che durino al massimo 40 minuti. In Italia invece, secondo quanto previsto dal Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 28, è cortometraggio il film che duri fino a 75 minuti. Questo è il motivo per il quale il primo lavoro di Bonifacio Angius: “saGràscia” pur durando quasi un’ora è considerato cortometraggio. Il film era molto interessante: Antoneddu, un bambino di 10 anni, viaggia per una Sardegna magica e popolata di personaggi particolari. Il bambino deve raggiungere la Chiesa del Santo che gli ha salvato la vita, facendogli “saGràscia” (la Grazia). Per un errore della distribuzione fu fornita una copia dove il sardo non era sottotitolato, ma questo invece di rappresentare un limite, aumentò di più la sensazione di trovarsi di fronte a un mondo magico e incomprensibile per una persona razionale. Era un bel lavoro, intenso, ironico e misterioso. Ma pare che con il passare del tempo Bonifacio Angius abbia abbandonato questo rapporto magico con la sua terra, per ancorarsi invece al vuoto esistenziale dei suoi coetanei.
Stefano Manca e Riccardo Bombagi in I Giganti
I Giganti racconta di un gruppo di amici che si chiudono in un casolare in mezzo alla campagna per consumare tutte le sostanze possibili e immaginabili, in quella che in termine gergale viene chiamata “chiusa”. Il film si svolge tutto all’interno del casale, in una sorta di spazio claustrofobico, buio e senza spiragli di luce. La casa è una sorta di bric-à-brac, sovrabbondante di oggetti che arrivano dal passato. La musica è ascoltata con un giradischi è il film è attraversato da una estetica nostalgica. Forse qui Angius intende rappresentare metaforicamente l’impossibilità da parte di queste persone di liberarsi dal passato, che continua a manifestarsi non solo come elemento della coscienza, ma come oggetti fisicamente presenti nella vita dei protagonisti. Lo stesso titolo del film, intende fare riferimento alle cosiddette “Tombe dei Giganti”, delle tombe nuragiche costruite fra il 1800 e il 1100 a.C., che erano delle tombe imponenti, arrivate ai posteri in pessime condizioni di mantenimento.
Cosa rimane nella vita di queste persone? Macerie. Un mondo tutto al maschile, che manifesta un rapporto difficile con l’altro sesso, implicitamente riconosciuto responsabile delle condizioni di dipendenza delle persone chiuse nel casale. In tal senso queste persone sembrano essere piuttosto misogine, ma nelle note di regia, Angius sostiene che intento del film è proprio questo, ovvero dimostrare il fallimento della mascolinità: “Mi piace definire questo racconto come fosse un’opera filosofica scritta da un cialtrone, che nell’imbarazzo di un auto-sabotaggio, con la volontà di distruggere la mascolinità italiota, disprezzandola e mostrandola in tutto il suo squallore e debolezza, decide di decapitarla definitivamente”. Aggiunge poi: “Questo film è un attacco al maschilismo in tutte le sue forme, un tentativo di mostrarlo in una fragilità squallida. I giganti è un sogno perduto, un sogno di cinema dimenticato, che con tutta la mia forza ho tentato di far riaffiorare sullo schermo”.
Ma, più che un sogno perduto pare essere un incubo, e più che un tentativo di far riaffiorare un cinema dimenticato, pare essere un tentativo di resuscitare una estetica ormai defunta. Il tema è piuttosto abusato e in questo caso manca di originalità, anche se sprazzi della componente onirica e magica che paiono essere il registro adatto del regista, si ritrovano nella sequenza della processione, ma l’idea viene però ben presto abbandonata. Dopo “Amore tossico” di Claudio Caligari (1983), “My Own Private Idaho” di Gus Vas Sant (1991) “Trainspotting” di Danny Boyle (1993), diventa difficile raccontare qualcosa di nuovo, anche se il tentativo di esporre questo percorso autodistruttivo merita rispetto e empatia.
Merita infine rispetto il percorso coerente e ai margini del sistema produttivo di Bonifacio Angius, che però forse dovrebbe aprirsi a maggiori contributi creativi esterni. In I Giganti, Angius compare come regista, attore, sceneggiatore, direttore della fotografia, autore del montaggio, produttore e infine, collaboratore della colonna sonora. Quindi, pur apprezzando la sincerità degli intenti, il film sembra essere un lavoro prepotentemente occupato dalla personalità del regista, persona coraggiosa e altera, ma che forse dovrebbe provare a ridurre il proprio spazio per dialogare o scontrarsi con istanze diverse dalla propria.
Francesco Castracane I Giganti (The Giants)
durata: 80 minuti
Italia, 2021
regia di: Bonifacio Angius
cast: Bonifacio Angius, Stefano Deffenu, Michele Manca, Riccardo Bombagi, Stefano Manca, Francesca Niedda, Noemi Medas, Roberta Passaghe, Mila Angius
sceneggiatura: Bonifacio Angius, Stefano Deffenu
fotografia: Bonifacio Angius
montaggio: Bonifacio Angius
scenografia: Salvatore Angius, Luca Noce
produttore: Bonifacio Angius
produzione: Il Monello Film, con il sostegno della Fondazione Sardegna Film Commission